Maria Caterina Spada

05/04/2017–20/04/2017
Maria Caterina Spada

la mia storia con la pittura

Miopia
Da piccola mi sentivo a mio agio e libera di disegnare, negli spazi del foglio che io percepivo grandi, ampi, anche se in realtà erano ridotti, a poca distanza dal mio naso. Questa è la ragione per la quale disegnare mi continua a dare grande piacere. La sensazione di essere davanti a spazi allargati si è intensificata per un evento banale. Un’insolazione all’età di 10 anni, mi aveva costretto a letto con la febbre molto alta. Devo avere avuto delle allucinazioni perché ricordo che da allora ho imparato, chiudendo gli occhi, a percepire le gambe e i piedi vicini o lontani, in alto o in basso, come volevo io, rimanendo immobile. Dopo diversi anni, quando avevo iniziato ad andare a ballare, la musica che mi girava intorno, forte e lo spazio piccolo intorno a me, diverso dal resto lontano e sfuocato, mi facevano tornare in mente il mio piccolo mondo dilatato dalla miopia.

Carta da pacchi
Mi piaceva molto studiare e avevo deciso di approfondire la Storia dell’Arte solo perché negli anni Ottanta era uno dei pochi ambienti dell’Università non troppo maschilista. Avevo anche iniziato a disegnare da sola col carbone ritratti dei miei amici e dipingere in grande formato i loro cappotti, giacche e scarpe. Erano le scarpe che vedevo tutti i giorni con una loro personalità che andava raccontata. Poi ho dipinto patate grandissime perché la loro forma era unica e sempre diversa. Non coloravo nulla, solo linee nere a tempera. Dipingevo o disegnavo sempre su grandi fogli di carta da pacchi bianca. Il foglio di carta da pacchi bianca è molto grande e resistente e si trova da qualsiasi tabaccaio. Un verso è liscio e l’altro è ruvido così puoi decidere al momento il lato che ti interessa.

Scenografia
Subito dopo la laurea non mi interessava un’occupazione intellettuale e avevo cercato un lavoro più simile a quello di un artigiano. Iniziai a lavorare in un importante laboratorio di scenografia nelle colline vicino a Bologna. Rimasi lì per tre anni imparando a lavorare su dimensioni enormi. Usavo scope anziché pennelli e chili di colore anziché tubetti. Le grandi tele delle scene per il teatro dell’Opera erano inchiodate a terra su un tavolato di legno e dovevi disegnare camminandoci sopra: era il mio sogno di miope. Il lavoro completamente coinvolgente dello scenografo, con delle scadenze rigide e il contatto quotidiano con materiali sintetici non era però conciliabile con quello futuro di madre e preferii continuare a studiare a Leiden, nei Paesi Bassi per poi diventare insegnante a Ravenna.

Disegnare e colorare
Per cominciare a disegnare servono il materiale e il tempo. Le vacanze, il viaggio, lo zainetto a portata di mano, sono condizioni ideali. Quando sento una commozione per ciò che vedo intorno, l’armonia di un posto in cui sedersi, decido che è ora di fissare le immagini. Disegno e respiro l’aria che mi sta intorno, prendo i colori, la luce, gli odori che mi serviranno per completare il lavoro poi con calma. Da vent’anni, prima di tornare a casa dalla vacanza spedisco agli amici una cartolina disegnata e colorata da me con i luoghi più belli, per ricordo.

I libretti
Ho cominciato a riempire di disegni il primo libretto alla fine degli anni Novanta per ricordare dove con mio marito e poi con i miei due figli, eravamo stati. Questi disegni fissano particolari utili per le lezioni a scuola. Gli studenti se sanno che hai fatto tu quei disegni, stanno più attenti. Disegno le ricette tipiche, i pezzi più belli nel museo, i particolari di un quadro, una spiaggia, un paesaggio, un’architettura. Sono bei posti che mi hanno fatto sentire fortunata l’essere lì ad ammirarli: soprattutto davanti al mare. Se non mi ricordo in che anno siamo stati in quel dato posto, sfoglio i miei libretti. Ogni luogo prima lo disegno velocemente con una penna ad inchiostro nero, lì davanti dal vero e poi lo coloro ad acquerello, quando ho tempo. Sono dei diari di immagini. Quando torno a casa ho la bella sensazione di aver fatto diventare disegni concreti ciò che erano solo cose viste. Traccio con disegni concreti l’anima delle immagini colte dal mio sguardo ed ho il piacere di riprovare la commozione aggiungendo i colori giusti per raccontare anche le mie sensazioni

Nostalgia della miopia
Nove anni fa, un’operazione mi ha ridato una vista quasi perfetta. I primi giorni mi sembrava miracoloso e ho sentito quale forte handicap fosse stata la mia miopia. Ora vedo bene i numeri della sveglia mentre attraverso la camera da letto, i numeri della bilancia quando mi peso, i pesci sotto il mare quando nuoto. Prima però mi bastava abbassarmi a un palmo dal foglio per vedere molto ingrandite anche le più piccole istruzioni e questa cosa ora mi manca. Quando ho voglia di tornare miope, prendo una lente di ingrandimento e sento quella bella sensazione di infilarti negli oggetti pieni di particolari molto interessanti. Peccato non vederne più tanti come prima. Ora sono diventata una normale presbite.

Incisione
Mi piace tanto stampare incisioni su carta. Il segno pieno dell’inchiostro nel solco della punta di metallo è elegante e la carta bagnata e lo scricchiolio del torchio ricordano il rumore della gomena di una nave. L’incisione ammette solo lentezza nei procedimenti e per questo è molto rilassante ma richiede forza nel polso. Fare molte stampe dalla stessa matrice che continuo però poi a conservare dentro il mio cassetto, allevia il dispiacere che esiste invece quando lascio andare via un mio dipinto che non riuscirò mai più a rifare uguale.

Febbraio 2017