Vigolo Vattaro -Mostra Pan Tao

Gesti del quotidiano – Dipinti di Pan Tao

Ho la sensazione che Pan Tao sia una donna che riesce, più di molti altri fra noi umani, a trovare e creare il senso di ogni piccolo aspetto della quotidianità. Utilizzando il linguaggio del maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh, direi che è in grado di porre attenzione consapevole in molte sue azioni.

Note di vita

Nata e cresciuta in un paese della campagna dello Henan, Yanshi, si trova del tutto a suo agio a contatto con la natura, sa come coltivare la terra, ha un corpo ginnico e giovane, una grande energia ed è capace di lavorare duro. Spesso silenziosa se non le sembra di poter aggiungere qualcosa di importante alla conversazione generale, ma pronta a intervenire e farsi valere se lo ritiene necessario; quasi sempre sorridente, volentieri scoppia in vere e proprie risate che molte ragazze cinesi riterrebbero poco femminili. A me è piaciuta subito proprio per questo: per la sua spontaneità, per il suo parlare diretto, sincero, non mediato. Una qualità rara nella cultura dello Henan, che conserva più di altre regioni della Cina molti ‘riti’ comportamentali che amo molto, nella loro sofisticata bellezza e profonda ragion d’essere, ma che a volte sono un vero ostacolo alla comunicazione.

Pan Tao è una pittrice, un’artista, ed è moglie di un pittore, un artista: Wang Zhongjie. Li ho conosciuti lo stesso giorno di qualche anno fa (saranno forse sei?) e dopo aver trascorso un lungo tempo rapita dalle opere forti e epiche di Zhongjie, lei con modestia si è fatta convincere a portarmi in una stanza più piccola lì a fianco, dove le sue opere erano immagazzinate. Nel mostrarmene alcune, le più accessibili, si schermiva temendo di richiedere troppa attenzione. Ecco perché nella storia dell’umanità i nomi di donna sono molto meno di quelli maschili, mi sono detta. Quella volta però mi sono fatta trasportare dai lavori e dalla personalità di Wang Zhongjie, ripromettendomi di seguire Pan Tao in seguito. Negli anni seguenti sono diventata molto amica di entrambi, ci siamo frequentati sia a Zhengzhou e dintorni che in Italia, dove sono venuti due volte a trovarmi e a esporre, nonché – moltissimo – grazie ai recenti mezzi di comunicazione via computer. Inizialmente il mio interlocutore principale era Zhongjie: con lui ho trascorso ore e ore a parlare di questioni metafisiche, a disquisire sul senso dell’esistenza. Pan Tao non è dotata della stessa capacità astrattiva, è molto più stringata e quindi meno in grado di stimolarmi da questo punto di vista. Quando però ci si trova faccia a faccia, quando durante la giornata ho bisogno di alternare alle chiacchierate un rapporto più ‘fisico’ con quello che mi circonda, è lei la mia compagna preferita. Ho scoperto che abbiamo gli stessi ritmi di camminata, il fiato lungo e la passione per la natura e le lunghe passeggiate in silenzio. Pan Tao unisce uno spirito concreto, da donna di campagna, al punto di vista di un’artista, che sa intravedere nei particolari della vita scorci di poesia inconsueti. Se vi perdeste nel bosco con lei, insomma, sarebbe in grado di trovare qualcosa da mangiare e un riparo per la notte, ma riuscirebbe anche a godere la bellezza di un’alba vista da un riparo occasionale. Una combinazione, insomma, delle Marta e Maria del Vangelo; apparentemente più Marta, sempre in attività, ma con la capacità di soffermarsi, alla bisogna, e cogliere poche ma essenziali note di poesia. Rispetto al marito, che limita la sua attenzione agli ambiti per i quali si sente portato, e che in essi scava in profondità, ottenendo evidenti risultati, Pan Tao, come quasi tutte le donne – e soprattutto le madri – si ritaglia con maestria i momenti di riflessione e creazione e ha imparato a concentrarsi anche nei brevi intervalli di pace fra un’azione e l’altra.

Mi sono spesso sentita un po’ divisa tra la naturale solidarietà femminile, che mi spinge a rimproverare Wang Zhongjie per quello che a volte considero un atteggiamento quasi dispotico e maschilista, e la considerazione del fatto che Pan Tao è effettivamente così brava a risolvere le molte questioni pratiche della vita, che sarebbe assurdo chiedere al marito di farle in sua vece. La stessa Pan Tao, poi, ha sempre concesso con altruismo molto tempo a Zhongjie, consapevole che l’arte di lui – a cui Zhongjie si dedica anima e corpo – è tanto totalizzante da meritare un suo sacrificio di moglie.

A tutto ciò si aggiunge la decisione della coppia di far crescere il loro figlio Xiaoshu risparmiandogli la durezza scolastica riservata ai bambini cinesi di oggi, risparmiandogli la competitività, lo studio di nozioni mnemoniche spesso inutili, l’ipocrisia che presto si insinua anche nei più piccoli, calati in un mondo precocemente e strumentalmente governato dagli adulti. Pan Tao e Wang Zhongjie vivono quindi una vita molto diversa dalla maggior parte delle persone integrate in questa società: privilegiano le loro esigenze conoscitive ed espressive, che si estrinsecano nella pittura, e seguono i loro princìpi – che definirei morali in un senso ampio della parola – anche nell’educazione del figlio Xiaoshu, provvedendo ad essa personalmente. Si tratta di una scelta che impone molte limitazioni di tempo, di cui risente soprattutto Pan Tao, e che suscita qualche perplessità nella cerchia di amici della coppia. Io li ammiro per la determinazione con cui continuano per la loro strada, e mi auguro che Xiaoshu possa un giorno essere felice per la decisione presa consapevolmente dai genitori.

Vita e pittura

Forse qualcuno si sarà chiesto la pertinenza di tutto quanto ho scritto finora all’interno di un saggio di cosiddetta critica d’arte, per quanto quella ‘critica d’arte’ che si alimenta di termini astratti e teorie predefinite mi sia sempre stata invisa. Ci sono artisti le cui opere sono collegate in maniera meno evidente alla loro quotidianità, e mi sembra che Wang Zhongjie ne sia un esempio, proprio per il fatto che hanno un rapporto più lontano o meno ‘risolto’ con la quotidianità stessa, che vivono a volte come una limitazione, come un qualcosa che tarpa loro le ali, e altri – come credo sia il caso di Pan Tao – la cui ispirazione è mutuata direttamente dalla ‘vita vissuta’. Personalmente penso di riuscire ad comprendere entrambi, perché a mia volta mi trovo in una situazione in bilico fra le due.

Percorrendo l’evoluzione pittorica di Pan Tao negli ultimi dieci anni ho colto una semplificazione che diventa sempre più evidente con l’andare del tempo. Nei lavori risalenti al 2003, 2004 sono frequenti i riferimenti alla gravidanza e alla nascita di Xiaoshu, vissuta con una grande fisicità. Il corpo del neonato, le sue piccole mani su quelle dei genitori, le posizioni di totale abbandono, il legame che lo unisce agli adulti che lo circondano di cure, costituiscono quasi l’unico tema dei dipinti dell’artista. Mentre nei lavori precedenti c’era la tendenza a utilizzare simboli (il serpente, il nudo maschile intento a orinare o a eiaculare cascate di liquidi), sempre comunque collegati a questioni relative alla nascita della vita, alla visceralità dell’esistenza, l’apparizione di Xiaoshu ha suggerito all’artista un modo più intimo, più vero, più diretto di relazionarsi, appunto, al grande mistero della vita. Pan Tao in quanto donna sembra vivere la gravidanza e poi la maternità, nonché l’esistenza di un nuovo, misterioso piccolo essere, con profondo stupore e con sensuale trasporto. Esamina i cambiamenti avvenuti nel suo corpo, per capirli meglio li dipinge, e così osserva i piccoli gesti inconsapevoli del piccolo, via via ne segue la crescita altrettanto miracolosa. L’artista semplifica al massimo gli sfondi sui quali appaiono i suoi soggetti: si tratta perlopiù di campiture ampie coperte però di pennellate ricche, pittoriche, per nulla piatte. All’interno delle superfici così trattate, con disinvoltura e padronanza, di colori fra cui predominano vari toni di grigio e di marrone, i soggetti scelti fluttuano decontestualizzati: l’attenzione è concentrata su di loro e ogni cosa non direttamente pertinente viene eliminata. Pan Tao è ricorsa molto a una tavolozza di colori fin troppo (a mio parere) ‘sporchi’, che fanno supporre una sua simpatia per alcuni esponenti del post-espressionismo. L’utilizzo di pennellate volutamente spesse, approssimative, rimanda alla volontà di tradurre velocemente, d’impatto, una particolare sensazione, una situazione densa di stati d’animo, un diario intimo colorato soggettivamente di emozioni. I toni spesso cupi contrastano peraltro con la sensazione di persona solare che l’artista dà a chi la conosce.

Nelle opere più recenti emergono particolari compositivi nuovi. All’interno della tela l’artista traccia spesso linee rette che creano spogli spazi architettonici in cui appaiono corpi o parti di corpi spesso nudi o semi-nudi, le cui forme organiche contrastano con la fredda (ma mai perfetta) geometria dell’ambiente. Donne svestite che indossano o mostrano scarpe dai tacchi alti (mai indossate nella realtà dalla pittrice) non comunicano però alcuna sensazione di erotismo; la loro nudità è dimessa, naturale, non particolarmente bella né sgraziata, e sembra rimandare al corpo umano nella sua semplice essenza, nella sua esistenza non sofisticata, mentre le scarpe dal tacco alto potrebbero alludere a quel surplus aggiunto che trasforma, appunto, un corpo di donna naturale in uno costruito. Cioè all’influenza che la società esercita sul corpo della donna, imponendole di rendersi diversa da quella che è, di costruirsi un’apparenza più gradita agli altri, soprattutto al sesso maschile.

Ci sono poi particolari anatomici – soprattutto mani o piedi – che occupano l’intera superficie del dipinto. Sono il dorso o il palmo delle mani, o ancora mani che contengono qualcosa, oppure mani che compiono gesti particolari e sembrano usufruire di un linguaggio corporeo che si sostituisce a quello orale, un po’ come quello di cui ci si serve in Cina per esprimere i numeri. Le mani sono anche la parte del corpo che più ci collega agli altri, e al mondo – insieme agli occhi, ed ecco che fra i dipinti più recenti ci sono grandi occhi nelle cui pupille si riflette qualcosa, o volti in cui spiccano enormi occhi inespressivi. In alcuni casi si ha la netta impressione che le mani appartengano a un’altra persona, in altri invece che siano dell’artista stessa, che le esamina con curiosità quasi incredula, così come osservava il suo ventre rotondo in gravidanza, sentendole appendici quasi estranee al suo corpo. La prospettiva utilizzata per dipingere i piedi sembra a volte suggerire si tratti di piedi sospesi, non ben piantati a terra ma appartenenti a qualcuno che è seduto sul bordo di un letto e li vede penzolare sfiorando appena il suolo. Altre volte la posizione colta è di estrema naturalezza e colpisce proprio per la capacità di tradurre in semplice poesia pittorica gesti molto frequenti che siamo avvezzi a vedere e non notare.

Sono i dipinti di questo tipo che mi piacciono di più – e credo che la capacità di Pan Tao in questo senso sia notevole e rara. Guardando un paio di piedi, due mani a coppa piene di appetitose bacche rosse, un corpo in posizione di totale abbandono, mi sento ricordare la bellezza del corpo umano per quello che è, quando è quello e niente di più, quando non ‘pretende’ di essere qualcos’altro o si atteggia per voler diventare diverso.

Anche laddove al posto di particolari anatomici Pan Tao dipinge semplici oggetti (le candele di una torta con la fiammella inclinata da un soffio, i vestiti appesi a un gancio, flosci nel loro abbandono casalingo che parla di intimità, di comodità, di ritorni dopo giornate passate altrove), è la vita nelle sue espressioni più genuine e meno artefatte a rivelare le sue piccole valenze poetiche, gli affetti nascosti in ogni piega delineata dal pennello con gesti veloci. Mi piace la capacità di Pan Tao di eliminare tutto ciò che non è essenziale, per dedicarsi a quel movimento, a quella posizione, a quella linea di un corpo o di un arto che diventano così loquaci a un occhio sensibile, così colmi di emozioni trattenute, visibili a chi si lasci avvolgere dal loro linguaggio dimesso ma caldo, avvolgente pur nei toni stridenti o freddi dei colori.

Quella di Pan Tao è una pittura che considero autenticamente femminile, non nel senso deteriore che spesso questo termine ha, cioè delicata, leziosa o auto-referenziale, ma in grado di cogliere ed esprimere il senso e la bellezza della vita in ogni cosa anche piccola e apparentemente insignificante. La sua attenzione è rivolta a un mondo intimo, ma i colori per nulla decorativi, scelti con decisione quasi brusca, e le pennellate così lontane dalle linee eleganti e virtuose alla maniera della tradizione cinese, tracciate a ghirigoro o confuse una nell’altra quasi per annullarsi a vicenda, fanno capire che il percorso dell’artista cerca l’essenza delle cose nella loro apparenza, coltivando la capacità di guardare dentro di sé con profonda chiarezza e sincerità.

Monica Dematté

Vigolo Vattaro, 4 settembre 2014