Wang Zhongjie – Nuvole nere cielo azzurro

Quando entrai per la prima volta nello studio di Wang Zhongjie (nato nel 1972 a Zhengzhou nello Henan, P.R. Cinese) rimasi quasi senza fiato. Percepii il ritmo della vita risuonare nelle sue tele.
“Questo in futuro sarà sempre il mio lavoro, per tutta la vita; anche se emergeranno altre cose io qui sento una gioia nascosta, non so come spiegarmi” scrive Zhongjie nel suo diario all‘inizio del 2007. Nel 2005 aveva scritto: “non esiste per me la creazione, non esistono tutte quelle regole attinenti alla superficie del quadro, non sono uno di quelli che ‘loro’ chiamano pittori. Dipingere non è un lavoro, è trovare il mezzo per scoprire”.
Wang Zhongjie non è dunque un pittore, è un uomo che cerca con tutto se stesso la ragione, il senso del suo vivere, e lo cerca attraverso la cosa che sa fare meglio: la pittura. Zhongjie non ha studiato all’Accademia di Belle Arti, non ha partecipato a nessuna delle attività o associazioni di cui normalmente gli ‘addetti ai lavori’ sono tenuti a far parte. Non ha bisogno di liberarsi di quelle formule stilistiche impartite negli istituti; la sua mano può agire sulla tela in maniera governata solo dalla sua mente relativamente originale, unica, la cui espressione non è intralciata da troppi condizionamenti esterni. Eppure il suo rapporto con la tela non è semplice o immediato. È come se davanti a ogni superficie intonsa egli si trovasse di fronte al mistero della vita. La ricerca della ‘chiave’ interpretativa non si riferisce a questioni tecniche, pittoriche, ma a questioni esistenziali. È per questo che ogni giorno, tornando a casa dallo studio o prima di coricarsi, la domanda che si pone è: quanto mi sono avvicinato a quel mistero? Quanto di più ne so?
La pittura – l’arte – è quindi intesa e vissuta da Zhongjie non fine a se stessa, ma come una chiave interpretativa dell’essenza, dell’esistenza. “Rinunciando all’arte quel che rimane è proprio l’arte”. Volendo raggiungere esiti artistici tali da meritare questo nome senza essersi messi in sintonia con la propria verità, si rischierebbe di ottenere lo stesso effetto di quando si pone attenzione al respiro senza riuscire a controllarlo, trasformandolo in qualcosa di artificiale e quindi rendendolo stentato, innaturale, quasi penoso. Zhongjie include l’arte nell’ambito dello spirito e non della materia e in questo senso ogni considerazione che sia dettata da motivi non squisitamente spirituali non ha il diritto di esservi applicata. Con lui non ho mai parlato di colori e composizioni, di materiali o di teorie artistiche. L’urgenza comunicativa che pervade Zhongjie riguarda la sua stessa esistenza. Ha fretta di ‘capire’ qualcosa del motivo per cui vive, per non sprecare altri anni preziosi di vita.
Mentre sta guardando il cielo in una notte stellata, un uomo sente alle spalle qualcuno che gli sussurra: “Va’ a comperare un chilo di cipolle!” Ho sentito Zhongjie inventare questo paradosso mentre cercava di spiegare a un amico il suo rapporto con la vita, con la quotidianità. Quante volte, proprio mentre crediamo e cerchiamo di esserci sollevati da terra, qualcuno dentro o fuori di noi ci riporta alla cosiddetta ‘realtà’, ci impedisce di librarci in un volo inebriante seppur pericoloso? Quella ‘realtà’, costituita forse dallo specchio collettivo in cui ci riflettiamo (come scrive Zhongjie nel suo diario), versione rivisitata delle ombre nella caverna platonica, rischia di toglierci via via ogni spazio di immaginazione, di originalità, di libertà, di visione.
Il passaggio dalle ‘nuvole nere’ al ‘cielo azzurro’, suggerito dal titolo di questa mostra, allude alla grande possibilità che abbiamo di metterci in sintonia con i ritmi più veri e più sentiti che esistono (forse sopiti?) dentro ognuno di noi.

Monica Dematté
Vigolo Vattaro, 2010-2014